(articolo apparso su Prima Pagina del 22 novembre 2014)
Introduzione di Luigi Malavasi Pignatti Morano
Chiunque abbia frequentato il liceo ha dovuto fare i
conti con I promessi sposi. Detta
così sembra un’ovvietà, poiché si tende a dare per scontato che il capolavoro
di Alessandro Manzoni sia il romanzo italiano per eccellenza; ma, a pensarci
bene, forse sarebbe il caso di domandarsi come mai, tra tutti i grandi libri
della storia letteraria nazionale, quello riguardante le peripezie di Renzo e
Lucia sia diventato una lettura obbligata, mentre altre opere pregevolissime
sono studiate per lo più marginalmente.
Gli spunti di riflessione potrebbero essere molteplici,
ma in questa sede è sufficiente soffermarsi su una peculiarità del romanzo
manzoniano che lo ha reso uno dei testi – si passi l’espressione – più
facilmente “spendibili” per la formazione e l’educazione dei giovani: stiamo
parlando dell’ideale della concordia tra le classi, vera e propria ossessione dei
ceti dirigenti post-unitari. Ne I
promessi sposi, infatti, ogni impulso alla ribellione è duramente
stigmatizzato dalla severa penna dello scrittore. «Non sai tu che, a metter
fuori l’unghie, il debole non ci guadagna?», fa dire, significativamente, il
Manzoni a fra Cristoforo, intento a redarguire Renzo per la sua (legittima?)
collera. Il messaggio non potrebbe essere più esplicito: come ha giustamente
notato lo storico Mario Isnenghi, «tutta la vicenda è ispirata a un presupposto
di intrasformabilità del mondo e trasformabilità delle persone». Il che
equivale a dire che Renzo deve intraprendere un percorso di maturazione
interiore che lo porti, con cristiana rassegnazione, ad accettare il mondo così
com’è.
Ma qual è, in definitiva, l’ideale di
società che emerge dalla lettura de I promessi sposi? Difendere il
principio della concordia tra le classi significa, da un lato, partire dal
presupposto che le classi esistono (nelle Osservazioni
sulla morale cattolica Manzoni significativamente afferma che la religione
«comanda [...] al ricco di dare il superfluo» e «all’offeso di perdonare»);
dall’altro stabilire il principio che la vera causa dei disagi sociali è
rappresentata dall’egoismo e dall’avidità. Cristianamente parlando, la società
si compone pertanto di un’aristocrazia che deve porre le proprie ricchezze in
esubero al servizio della collettività, di un ceto medio che è bene rifugga
dall’assillo del profitto e di un vasto universo popolare che deve accettare
con rassegnazione la propria condizione marginale dimostrandosi pio e
laborioso, in ottemperanza ai dettami del Vangelo.
Manzoni, in sostanza, ha una concezione tragica dell’esistenza,
secondo la quale l’uomo, non avendo alcuna possibilità di evitare il male (non
vale cioè il principio della giustizia distributiva), deve assumere un
atteggiamento remissivo nei confronti di ciò che Dio dispone, secondo i suoi
imperscrutabili disegni. Respingere il male – come vorrebbe fare Renzo –
equivale perciò a pretendere di conferire un assurdo valore assolutizzante alla
vita terrena, laddove invece quest’ultima, lungi dall’essere finita in sé, non
è altro che una fase transeunte.
Ecco dunque che, alla luce di queste considerazioni, la
scelta delle classi dirigenti post-risorgimentali di “puntare forte” su I promessi sposi risulta meglio
comprensibile. Non che – sia chiaro – al Manzoni manchino i meriti: ma è
evidente che uno scrittore di indubbio valore quale certamente egli fu,
cattolico ma pur sempre senatore del Regno, fautore della concordia di classe e
per nulla disposto a tollerare forme anche blande di ribellione all’ordine
costituito, facesse gola – per così dire – ai ministri dell’Istruzione dell’epoca.
E oggi? Cosa pensano gli studenti del Duemila del
capolavoro manzoniano? Prendiamo in considerazione le brevi riflessioni di
cinque ragazze che attualmente frequentano la prima liceo classico
dell’Istituto Sacro Cuore di Modena.
L’accusa di Aurora Vandelli e Taisia Malagoli
«Spesso è spiegato dagli insegnanti in modo poco coinvolgente»
Essendo superfluo ribadire il valore di quest’opera, ci
soffermiamo sui tratti negativi riscontrabili durante la lettura de I promessi sposi.
Per molti ragazzi delle scuole superiori non è una scelta
opportuna: gli studenti vengono portati all’odio e non all’amore per la
letteratura, come invece dovrebbe essere.
Perché questo succede? Forse il metodo usato non è adatto
a trasmettere i temi fondamentali e appassionanti contenuti nel romanzo, per
non parlare di tutte quelle ore trascorse fra gli interminabili capitoli nel
tentativo di decifrare i contenuti senza preoccuparsi del loro vero
significato, vedendo solo la luce di libertà che attende ogni studente alla fine
dei compiti richiesti dall’insegnante. Inoltre I promessi sposi dovrebbero essere spiegati in un modo più
coinvolgente. La priorità dovrebbe essere quella di far amare la letteratura,
non di far scomporre e analizzare ogni singolo capitolo a ragazzi che non
vogliono essere rimproverati. È sorprendente notare l’espressione di sconcerto
che appare sui volti degli studenti quando si accenna loro di dover studiare l’intera
opera.
Ci possono essere varie alternative alla lettura di
questo romanzo, dal momento che esistono molti classici che non vengono
considerati.
Il commento, pur nella sua semplicità, contiene spunti
interessanti. In primo luogo, le studentesse palesano una potenziale attrazione
nei confronti del romanzo, frustrata – a loro dire – dall’incapacità degli
insegnanti di “spiegare” in modo coinvolgente.
È evidente, poi, che I
promessi sposi siano mal digeriti in quanto lettura obbligatoria, che viene
propinata in tutte le salse sin dai primi anni di scuola. Su questo aspetto,
forse gli studenti non hanno tutti i torti, dal momento che il romanzo
manzoniano è senza dubbio un libro complesso, decisamente poco alla portata di
ragazzi adolescenti. Il che ci porta alla conclusione che, effettivamente, il
ruolo dell’insegnante risulta, mai come in questo caso, decisivo, e che solo
gli studenti che hanno la fortuna di disporre di un professore capace – come si
suol dire – di toccare le corde giuste sono messi nelle condizioni di
apprezzare quello che è indiscutibilmente un capolavoro della nostra letteratura.
Par di capire, in sostanza, che gli studenti avvertano la
presenza di una sorta di fastidiosa barriera che rende inaccessibile il
capolavoro manzoniano: sarebbero cioè anche disposti a leggerlo, ma senza gli
strumenti adatti faticano a comprenderlo.
La difesa di Francesca
Adani, Beatrice Sitta e Maria Teresa Guidi
«È un romanzo fondamentale per la lingua
italiana ed è animato da forti principi religiosi»
I promessi sposi
è un’opera molto importante per arricchire la cultura personale, e gli insegnanti
dovrebbero leggerla e spiegarla in ogni scuola.
È una delle prime
ad essere scritta in italiano moderno, è alla base della lingua italiana ed occupa
un posto di rilievo nella formazione e nell’evoluzione della nostra cultura. È
quindi necessario sapere da dove deriva la nostra lingua e come è cambiata nel
corso del tempo.
Questo romanzo ci
mostra com’era la vita di cittadini comuni e nobili al tempo delle grandi rivoluzioni
politiche e industriali. Contiene forti principi religiosi, che sono il
fondamento di tutto il popolo, e attribuisce importanza decisiva alla fede in
Dio per sopportare tutti i possibili soprusi delle persone più potenti; inoltre
ci spiega che la violenza spesso porta ad altra violenza, mentre la fiducia e l’amore
verso le persone a noi più vicine ci rassereneranno sempre in ogni momento buio.
Questo romanzo è
utile anche per comprendere che le persone hanno molte vite diverse, ma possono
sempre fare del bene, come l’Innominato, personaggio malvagio che trova la via
della salvezza pentendosi.
Colpisce in questo intervento l’accento posto sulla
questione linguistica: a parere di alcuni studenti, I promessi sposi rappresentano una lettura imprescindibile poiché
costituiscono una tappa fondamentale nell’evoluzione dell’italiano scritto.
Ora, è evidente che un simile ragionamento elude la
questione dei contenuti dell’opera. Ed è auspicabile che la scuola si ponga
obiettivi un tantino più ambiziosi nel momento in cui, di fatto, impone un
certo tipo di letture. Cosa salvare dunque del romanzo manzoniano?
Anche qui la risposta delle ragazze interpellate è
singolare: de I promessi sposi,
infatti, esse dichiarano di apprezzare l’importanza attribuita alla fede,
intesa quale travagliato percorso interiore che porta ad accettare il male
inevitabilmente presente nel mondo. Sono sincere? È difficile stabilirlo. Certo
è che Manzoni, nelle parole di chiusa dell’ultimo capitolo, fa riferimento a un
«sugo» della storia che richiama proprio questo concetto: «Conclusero che i
guai vendono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più
cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per
colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una
vita migliore».
E qui la palla dovrebbe tornare alle autrici del primo
intervento: dovendo obtorto collo
leggere I promessi sposi, che ve ne
pare dell’idea di cominciare dalla fine?
Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero
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