martedì 25 novembre 2014

«I promessi sposi»: un romanzo istituzionale

(articolo apparso su Prima Pagina del 22 novembre 2014)

Introduzione di Luigi Malavasi Pignatti Morano

Chiunque abbia frequentato il liceo ha dovuto fare i conti con I promessi sposi. Detta così sembra un’ovvietà, poiché si tende a dare per scontato che il capolavoro di Alessandro Manzoni sia il romanzo italiano per eccellenza; ma, a pensarci bene, forse sarebbe il caso di domandarsi come mai, tra tutti i grandi libri della storia letteraria nazionale, quello riguardante le peripezie di Renzo e Lucia sia diventato una lettura obbligata, mentre altre opere pregevolissime sono studiate per lo più marginalmente.
Gli spunti di riflessione potrebbero essere molteplici, ma in questa sede è sufficiente soffermarsi su una peculiarità del romanzo manzoniano che lo ha reso uno dei testi – si passi l’espressione – più facilmente “spendibili” per la formazione e l’educazione dei giovani: stiamo parlando dell’ideale della concordia tra le classi, vera e propria ossessione dei ceti dirigenti post-unitari. Ne I promessi sposi, infatti, ogni impulso alla ribellione è duramente stigmatizzato dalla severa penna dello scrittore. «Non sai tu che, a metter fuori l’unghie, il debole non ci guadagna?», fa dire, significativamente, il Manzoni a fra Cristoforo, intento a redarguire Renzo per la sua (legittima?) collera. Il messaggio non potrebbe essere più esplicito: come ha giustamente notato lo storico Mario Isnenghi, «tutta la vicenda è ispirata a un presupposto di intrasformabilità del mondo e trasformabilità delle persone». Il che equivale a dire che Renzo deve intraprendere un percorso di maturazione interiore che lo porti, con cristiana rassegnazione, ad accettare il mondo così com’è.
Ma qual è, in definitiva, l’ideale di società che emerge dalla lettura de I promessi sposi? Difendere il principio della concordia tra le classi significa, da un lato, partire dal presupposto che le classi esistono (nelle Osservazioni sulla morale cattolica Manzoni significativamente afferma che la religione «comanda [...] al ricco di dare il superfluo» e «all’offeso di perdonare»); dall’altro stabilire il principio che la vera causa dei disagi sociali è rappresentata dall’egoismo e dall’avidità. Cristianamente parlando, la società si compone pertanto di un’aristocrazia che deve porre le proprie ricchezze in esubero al servizio della collettività, di un ceto medio che è bene rifugga dall’assillo del profitto e di un vasto universo popolare che deve accettare con rassegnazione la propria condizione marginale dimostrandosi pio e laborioso, in ottemperanza ai dettami del Vangelo.
Manzoni, in sostanza, ha una concezione tragica dell’esistenza, secondo la quale l’uomo, non avendo alcuna possibilità di evitare il male (non vale cioè il principio della giustizia distributiva), deve assumere un atteggiamento remissivo nei confronti di ciò che Dio dispone, secondo i suoi imperscrutabili disegni. Respingere il male – come vorrebbe fare Renzo – equivale perciò a pretendere di conferire un assurdo valore assolutizzante alla vita terrena, laddove invece quest’ultima, lungi dall’essere finita in sé, non è altro che una fase transeunte.
Ecco dunque che, alla luce di queste considerazioni, la scelta delle classi dirigenti post-risorgimentali di “puntare forte” su I promessi sposi risulta meglio comprensibile. Non che – sia chiaro – al Manzoni manchino i meriti: ma è evidente che uno scrittore di indubbio valore quale certamente egli fu, cattolico ma pur sempre senatore del Regno, fautore della concordia di classe e per nulla disposto a tollerare forme anche blande di ribellione all’ordine costituito, facesse gola – per così dire – ai ministri dell’Istruzione dell’epoca.
E oggi? Cosa pensano gli studenti del Duemila del capolavoro manzoniano? Prendiamo in considerazione le brevi riflessioni di cinque ragazze che attualmente frequentano la prima liceo classico dell’Istituto Sacro Cuore di Modena.

L’accusa di Aurora Vandelli e Taisia Malagoli

«Spesso è spiegato dagli insegnanti in modo poco coinvolgente»

Essendo superfluo ribadire il valore di quest’opera, ci soffermiamo sui tratti negativi riscontrabili durante la lettura de I promessi sposi.
Per molti ragazzi delle scuole superiori non è una scelta opportuna: gli studenti vengono portati all’odio e non all’amore per la letteratura, come invece dovrebbe essere.
Perché questo succede? Forse il metodo usato non è adatto a trasmettere i temi fondamentali e appassionanti contenuti nel romanzo, per non parlare di tutte quelle ore trascorse fra gli interminabili capitoli nel tentativo di decifrare i contenuti senza preoccuparsi del loro vero significato, vedendo solo la luce di libertà che attende ogni studente alla fine dei compiti richiesti dall’insegnante. Inoltre I promessi sposi dovrebbero essere spiegati in un modo più coinvolgente. La priorità dovrebbe essere quella di far amare la letteratura, non di far scomporre e analizzare ogni singolo capitolo a ragazzi che non vogliono essere rimproverati. È sorprendente notare l’espressione di sconcerto che appare sui volti degli studenti quando si accenna loro di dover studiare l’intera opera.
Ci possono essere varie alternative alla lettura di questo romanzo, dal momento che esistono molti classici che non vengono considerati.

Il commento, pur nella sua semplicità, contiene spunti interessanti. In primo luogo, le studentesse palesano una potenziale attrazione nei confronti del romanzo, frustrata – a loro dire – dall’incapacità degli insegnanti di “spiegare” in modo coinvolgente.
È evidente, poi, che I promessi sposi siano mal digeriti in quanto lettura obbligatoria, che viene propinata in tutte le salse sin dai primi anni di scuola. Su questo aspetto, forse gli studenti non hanno tutti i torti, dal momento che il romanzo manzoniano è senza dubbio un libro complesso, decisamente poco alla portata di ragazzi adolescenti. Il che ci porta alla conclusione che, effettivamente, il ruolo dell’insegnante risulta, mai come in questo caso, decisivo, e che solo gli studenti che hanno la fortuna di disporre di un professore capace – come si suol dire – di toccare le corde giuste sono messi nelle condizioni di apprezzare quello che è indiscutibilmente un capolavoro della nostra letteratura.
Par di capire, in sostanza, che gli studenti avvertano la presenza di una sorta di fastidiosa barriera che rende inaccessibile il capolavoro manzoniano: sarebbero cioè anche disposti a leggerlo, ma senza gli strumenti adatti faticano a comprenderlo.

La difesa di Francesca Adani, Beatrice Sitta e Maria Teresa Guidi

«È un romanzo fondamentale per la lingua italiana ed è animato da forti principi religiosi»

I promessi sposi è un’opera molto importante per arricchire la cultura personale, e gli insegnanti dovrebbero leggerla e spiegarla in ogni scuola.
 È una delle prime ad essere scritta in italiano moderno, è alla base della lingua italiana ed occupa un posto di rilievo nella formazione e nell’evoluzione della nostra cultura. È quindi necessario sapere da dove deriva la nostra lingua e come è cambiata nel corso del tempo.
 Questo romanzo ci mostra com’era la vita di cittadini comuni e nobili al tempo delle grandi rivoluzioni politiche e industriali. Contiene forti principi religiosi, che sono il fondamento di tutto il popolo, e attribuisce importanza decisiva alla fede in Dio per sopportare tutti i possibili soprusi delle persone più potenti; inoltre ci spiega che la violenza spesso porta ad altra violenza, mentre la fiducia e l’amore verso le persone a noi più vicine ci rassereneranno sempre in ogni momento buio.
 Questo romanzo è utile anche per comprendere che le persone hanno molte vite diverse, ma possono sempre fare del bene, come l’Innominato, personaggio malvagio che trova la via della salvezza pentendosi.

Colpisce in questo intervento l’accento posto sulla questione linguistica: a parere di alcuni studenti, I promessi sposi rappresentano una lettura imprescindibile poiché costituiscono una tappa fondamentale nell’evoluzione dell’italiano scritto.
Ora, è evidente che un simile ragionamento elude la questione dei contenuti dell’opera. Ed è auspicabile che la scuola si ponga obiettivi un tantino più ambiziosi nel momento in cui, di fatto, impone un certo tipo di letture. Cosa salvare dunque del romanzo manzoniano?
Anche qui la risposta delle ragazze interpellate è singolare: de I promessi sposi, infatti, esse dichiarano di apprezzare l’importanza attribuita alla fede, intesa quale travagliato percorso interiore che porta ad accettare il male inevitabilmente presente nel mondo. Sono sincere? È difficile stabilirlo. Certo è che Manzoni, nelle parole di chiusa dell’ultimo capitolo, fa riferimento a un «sugo» della storia che richiama proprio questo concetto: «Conclusero che i guai vendono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore».
E qui la palla dovrebbe tornare alle autrici del primo intervento: dovendo obtorto collo leggere I promessi sposi, che ve ne pare dell’idea di cominciare dalla fine?

Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero

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