sabato 28 giugno 2014

«Così è (se vi pare)»: l'assoluta (inquietante) relatività della verità

(articolo apparso su Prima Pagina del 21 giugno 2014)

Commedia in tre atti scritta nel 1917, Così è (se vi pare) è una delle opere teatrali più celebri e rappresentate di Luigi Pirandello. In essa sono condensati alcuni temi ricorrenti della riflessione dello scrittore agrigentino, tanto che a lungo l'opera è stata considerata dalla critica un manifesto del pirandellismo. Sotto il profilo dei contenuti, infatti, la commedia può dirsi "completa": dal problema dell'identità individuale a quello del rapporto tra singolo e collettività, dalla questione delle relazioni sociali al dramma dell'inconoscibilità di un'unica verità, Pirandello mette in scena tutto se stesso, in una sorta di summa dell'intera sua produzione narrativa.
La trama ruota intorno alla contrapposizione di due verità apparentemente inconciliabili. Il signor Ponza, da poco trasferitosi in una cittadina di provincia a seguito del terremoto della Marsica, desta curiosità mista a scalpore a causa della sua condotta familiare: vive infatti con la moglie in un appartamento separato da quello della suocera (la signora Frola) e, stando ad alcune voci, impedisce alle due donne di vedersi. Secondo le malelingue, infatti, la moglie del signor Ponza è stata segregata in casa dal marito.
A partire da questo antefatto, si apre la prima scena. Il signor Agazzi, superiore del signor Ponza, si è appena recato dal prefetto per denunciare le stranezze del suo sottoposto, irritato peraltro dal fatto che la signora Frola, sua vicina di casa, si rifiuti di fornire spiegazioni. La moglie e la figlia del signor Agazzi sono infatti convinte che il signor Ponza sia un pazzo; unica voce fuori dal coro, il cognato Laudisi (evidente personificazione di Pirandello), che sostiene sia impossibile appurare una verità incontrovertibile.
Al fine di fare luce sull'intricata vicenda, vengono dunque ascoltate le due versioni della signora Frola e del signor Ponza. Ma mentre la prima afferma che il genero, vittima di un esaurimento nervoso e quindi impazzito, crede morta la moglie ed è convinto di essersi sposato una seconda volta (con Giulia), il secondo sostiene che la vera pazza sia la suocera, la quale, incapace di rassegnarsi alla perdita della prima figlia (Lina), si è persuasa che questa sia in realtà ancora viva e tenuta come in ostaggio dal marito. Entrambi, dunque, si accusano reciprocamente di aver perso il senno; col risultato che tutti si convincono che la verità verrà a galla solo a condizione di scoprire chi tra il signor Ponza e la signora Frola sta – volontariamente o meno poco importa – dicendo il falso.
A questo punto è evidente che l'unica persona in grado di risolvere l'enigma è Lina-Giulia, la quale – nell'ultimo atto – viene condotta in casa del signor Agazzi per dare finalmente la sua versione. Con il viso coperto da un velo nero, la donna afferma quindi di essere al contempo sia la figlia della signora Frola che la seconda moglie del signor Ponza; e – aggiunge, tra lo stupore generale – «per me nessuna!». Infine, alle proteste del prefetto, accorso appositamente a casa Agazzi («Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra!»), replica con un secco: «Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede».
La scena si chiude con il lapidario commento di Laudisi, il quale, dopo avere pronunciato le seguenti parole: «Ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?», prorompe in una compiaciuta risata.
Sin dal titolo, Pirandello suggerisce una netta bipartizione della realtà. Da una parte (quella che, per chiarezza, potrebbe definirsi del Così è) stanno le convinzioni, ciò che si crede vero; dall'altra (quella del se vi pare), le mutevoli sfaccettature di ciò che si osserva. O, in altre parole, da una parte sta la certezza, dall'altra il disordine. Questa, almeno, è la divisione iniziale, giacché è evidente che il senso ultimo della commedia è che – per quanto attiene alle vicende umane – esistono tante verità quanti sono gli osservatori (con la conseguenza che, a ben vedere, non può esistere alcuna certezza che non sia quella del relativismo gnoseologico). In pratica, la verità cambia costantemente a seconda dei punti di vista, poiché tutto, nel mondo, è disordine.
L'aspetto più sconcertante della commedia è che Lina-Giulia non svela la propria identità, non rivela il proprio nome. Il suo contegno, inoltre, è quello di una persona perfettamente "normale": nelle sue parole non c'è traccia di quella pazzia che i vari personaggi vogliono a tutti i costi attribuire almeno ad uno dei protagonisti dell'intricata vicenda. E il bello è che non c'è contraddizione in tutto questo: la personificazione – tanto attesa – della verità è, allo stesso tempo, Lina ma anche Giulia, figlia ma anche seconda moglie. L'enigma è lasciato volutamente irrisolto, come a dire che l'identità individuale non potrà mai costituire una certezza assoluta, dal momento che una persona assume infinite forme in base alle convinzioni di coloro con cui entra in contatto.
Pirandello ha espresso questo concetto anche nel romanzo Uno, nessuno e centomila: avere centomila identità differenti equivale, di fatto, a non averne nessuna. Il che è evidente anche in riferimento alle esperienze più banali. Si pensi, ad esempio, a tutti i ruoli che si ricoprono nella vita. Un individuo X nasce figlio e, presumibilmente, muore padre; può essere nipote, poi nonno o zio, o entrambe le cose; sul lavoro, magari è superiore di qualcuno e sottoposto di qualcun altro; amico di tizio e rivale di caio; simpatico a Y, antipatico a Z, e così via. Non esiste, in sostanza, un'unica forma di X, uguale per tutti. E, cosa ancor più inquietante, nemmeno l'idea che X ha di sé è vera in senso assoluto (o meglio: non è di certo più vera di quella di tutti gli infiniti non-X con cui X entra in contatto). Per questo il parere di Lina-Giulia non è importante: esso non può essere in alcun modo decisivo, non può mettere a tacere le opinioni altrui, poiché è impossibile costringere le persone a cambiare le proprie convinzioni.
Il pessimismo pirandelliano circa l'impossibilità di costruirsi un'identità salda (in grado cioè di resistere al giudizio multiforme ed alienante della collettività) è netto. Di nuovo, si pensi alla vita di tutti i giorni. Quante volte si leggono sui giornali accuse infamanti contro persone ancora in attesa di giudizio? E cosa accade, poi, in caso di assoluzione? Non è forse vero che associare il nome di una persona ad un presunto reato equivale, già di per sé, ad esprimere una prima forma di condanna irreversibile? Il punto, infatti, è che l'identità è il riflesso di sé negli altri: e se questi emettono una sentenza, il singolo individuo non può sperare, a dispetto di quella, di affermare la propria visione di sé. Mettiamo il caso, per esempio, che X sia pubblicamente accusato del furto di gioielli, ma che venga assolto per insufficienza di prove. Quale gioielliere non si sentirebbe indirettamente minacciato dal vederlo comparire nel proprio negozio? Per lui X, anche se magari è veramente innocente, non può che essere un potenziale ladro. La verità del gioielliere e quella di X sono equivalenti, entrambe valide poiché una è la verità a parere del primo, l'altra è la verità a parere del secondo. Verità, pertanto, sempre relativa, mai assoluta.
Questo dunque è il senso della risata finale di Laudisi: prendere polemicamente le distanze dalle illazioni e dai pettegolezzi sul conto del signor Ponza e della signora Frola. Che senso ha, infatti, accapigliarsi per affermare una verità che non potrà mai pretendere di imporsi come oggettiva? Inutile illudersi: Lina-Giulia sarà sempre velata di nero, impenetrabile; il principio di non contraddizione (per il quale una cosa è se stessa e non altro) è solo una convenzione di comodo imposta dalla ragione, ma non dà alcuna garanzia (giacché, come è evidente, può valere al massimo per le cose – e poi non sempre –, ma non per le persone). Laudisi-Pirandello ride perciò delle debolezze umane, della stolta illusione di riuscire a padroneggiare la realtà come se avesse un senso ben determinato; ma ride anche degli spettatori dell'opera teatrale, che fino all'ultimo si aspettano che la verità parli una volta per sempre, e quindi persino della stessa arte, capace tutt'al più di scomporre la vita, non certo di fornire una rappresentazione rassicurante di essa.

Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero

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