(articolo apparso su Prima Pagina del 21 giugno 2014)
Commedia in tre atti scritta nel
1917, Così è (se vi pare) è una delle opere teatrali più celebri e
rappresentate di Luigi Pirandello. In essa sono condensati alcuni temi
ricorrenti della riflessione dello scrittore agrigentino, tanto che a lungo
l'opera è stata considerata dalla critica un manifesto del pirandellismo. Sotto
il profilo dei contenuti, infatti, la commedia può dirsi "completa":
dal problema dell'identità individuale a quello del rapporto tra singolo e
collettività, dalla questione delle relazioni sociali al dramma
dell'inconoscibilità di un'unica verità, Pirandello mette in scena tutto se
stesso, in una sorta di summa dell'intera sua produzione narrativa.
La trama ruota intorno alla
contrapposizione di due verità apparentemente inconciliabili. Il signor Ponza,
da poco trasferitosi in una cittadina di provincia a seguito del terremoto
della Marsica, desta curiosità mista a scalpore a causa della sua condotta
familiare: vive infatti con la moglie in un appartamento separato da quello
della suocera (la signora Frola) e, stando ad alcune voci, impedisce alle due
donne di vedersi. Secondo le malelingue, infatti, la moglie del signor Ponza è
stata segregata in casa dal marito.
A partire da questo antefatto, si
apre la prima scena. Il signor Agazzi, superiore del signor Ponza, si è appena
recato dal prefetto per denunciare le stranezze del suo sottoposto, irritato
peraltro dal fatto che la signora Frola, sua vicina di casa, si rifiuti di
fornire spiegazioni. La moglie e la figlia del signor Agazzi sono infatti
convinte che il signor Ponza sia un pazzo; unica voce fuori dal coro, il
cognato Laudisi (evidente personificazione di Pirandello), che sostiene sia
impossibile appurare una verità incontrovertibile.
Al fine di fare luce sull'intricata
vicenda, vengono dunque ascoltate le due versioni della signora Frola e del
signor Ponza. Ma mentre la prima afferma che il genero, vittima di un
esaurimento nervoso e quindi impazzito, crede morta la moglie ed è convinto di
essersi sposato una seconda volta (con Giulia), il secondo sostiene che la vera
pazza sia la suocera, la quale, incapace di rassegnarsi alla perdita della
prima figlia (Lina), si è persuasa che questa sia in realtà ancora viva e
tenuta come in ostaggio dal marito. Entrambi, dunque, si accusano
reciprocamente di aver perso il senno; col risultato che tutti si convincono
che la verità verrà a galla solo a condizione di scoprire chi tra il signor
Ponza e la signora Frola sta – volontariamente o meno poco importa – dicendo il
falso.
A questo punto è evidente che l'unica
persona in grado di risolvere l'enigma è Lina-Giulia, la quale – nell'ultimo
atto – viene condotta in casa del signor Agazzi per dare finalmente la sua versione.
Con il viso coperto da un velo nero, la donna afferma quindi di essere al
contempo sia la figlia della signora Frola che la seconda moglie del signor
Ponza; e – aggiunge, tra lo stupore generale – «per me nessuna!». Infine, alle
proteste del prefetto, accorso appositamente a casa Agazzi («Ah, no, per sé,
lei, signora: sarà l'una o l'altra!»), replica con un secco: «Nossignori. Per
me, io sono colei che mi si crede».
La scena si chiude con il lapidario
commento di Laudisi, il quale, dopo avere pronunciato le seguenti parole: «Ed
ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?», prorompe in una compiaciuta
risata.
Sin dal titolo, Pirandello suggerisce una netta
bipartizione della realtà. Da una parte (quella che, per chiarezza, potrebbe
definirsi del Così è) stanno le
convinzioni, ciò che si crede vero; dall'altra (quella del se vi pare), le mutevoli sfaccettature di ciò che si osserva. O, in
altre parole, da una parte sta la certezza, dall'altra il disordine. Questa,
almeno, è la divisione iniziale, giacché è evidente che il senso ultimo della
commedia è che – per quanto attiene alle vicende umane – esistono tante verità
quanti sono gli osservatori (con la conseguenza che, a ben vedere, non può
esistere alcuna certezza che non sia quella del relativismo gnoseologico). In
pratica, la verità cambia costantemente a seconda dei punti di vista, poiché
tutto, nel mondo, è disordine.
L'aspetto più sconcertante della commedia è che
Lina-Giulia non svela la propria identità, non rivela il proprio nome. Il suo
contegno, inoltre, è quello di una persona perfettamente "normale":
nelle sue parole non c'è traccia di quella pazzia che i vari personaggi
vogliono a tutti i costi attribuire almeno ad uno dei protagonisti
dell'intricata vicenda. E il bello è che non c'è contraddizione in tutto
questo: la personificazione – tanto attesa – della verità è, allo stesso tempo,
Lina ma anche Giulia, figlia ma anche seconda moglie. L'enigma è lasciato
volutamente irrisolto, come a dire che l'identità individuale non potrà mai
costituire una certezza assoluta, dal momento che una persona assume infinite
forme in base alle convinzioni di coloro con cui entra in contatto.
Pirandello ha espresso questo concetto anche nel romanzo Uno, nessuno e centomila: avere
centomila identità differenti equivale, di fatto, a non averne nessuna. Il che
è evidente anche in riferimento alle esperienze più banali. Si pensi, ad esempio,
a tutti i ruoli che si ricoprono nella vita. Un individuo X nasce figlio e,
presumibilmente, muore padre; può essere nipote, poi nonno o zio, o entrambe le
cose; sul lavoro, magari è superiore di qualcuno e sottoposto di qualcun altro;
amico di tizio e rivale di caio; simpatico a Y, antipatico a Z, e così via. Non
esiste, in sostanza, un'unica forma di X, uguale per tutti. E, cosa ancor più
inquietante, nemmeno l'idea che X ha di sé è vera in senso assoluto (o meglio:
non è di certo più vera di quella di tutti gli infiniti non-X con cui X entra
in contatto). Per questo il parere di Lina-Giulia non è importante: esso non
può essere in alcun modo decisivo, non può mettere a tacere le opinioni altrui,
poiché è impossibile costringere le persone a cambiare le proprie convinzioni.
Il pessimismo pirandelliano circa l'impossibilità di
costruirsi un'identità salda (in grado cioè di resistere al giudizio multiforme
ed alienante della collettività) è netto. Di nuovo, si pensi alla vita di tutti
i giorni. Quante volte si leggono sui giornali accuse infamanti contro persone
ancora in attesa di giudizio? E cosa accade, poi, in caso di assoluzione? Non è
forse vero che associare il nome di una persona ad un presunto reato equivale,
già di per sé, ad esprimere una prima forma di condanna irreversibile? Il
punto, infatti, è che l'identità è il riflesso di sé negli altri: e se questi
emettono una sentenza, il singolo individuo non può sperare, a dispetto di
quella, di affermare la propria visione di sé. Mettiamo il caso, per esempio,
che X sia pubblicamente accusato del furto di gioielli, ma che venga assolto
per insufficienza di prove. Quale gioielliere non si sentirebbe indirettamente minacciato
dal vederlo comparire nel proprio negozio? Per lui X, anche se magari è veramente
innocente, non può che essere un potenziale ladro. La verità del gioielliere e
quella di X sono equivalenti, entrambe valide poiché una è la verità a parere
del primo, l'altra è la verità a parere del secondo. Verità, pertanto, sempre
relativa, mai assoluta.
Questo dunque è il senso della risata
finale di Laudisi: prendere polemicamente le distanze dalle illazioni e dai
pettegolezzi sul conto del signor Ponza e della signora Frola. Che senso ha,
infatti, accapigliarsi per affermare una verità che non potrà mai pretendere di
imporsi come oggettiva? Inutile illudersi: Lina-Giulia sarà sempre velata di
nero, impenetrabile; il principio di non contraddizione (per il quale una cosa
è se stessa e non altro) è solo una convenzione di comodo imposta dalla ragione,
ma non dà alcuna garanzia (giacché, come è evidente, può valere al massimo per
le cose – e poi non sempre –, ma non per le persone). Laudisi-Pirandello ride
perciò delle debolezze umane, della stolta illusione di riuscire a
padroneggiare la realtà come se avesse un senso ben determinato; ma ride anche
degli spettatori dell'opera teatrale, che fino all'ultimo si aspettano che la
verità parli una volta per sempre, e quindi persino della stessa arte, capace
tutt'al più di scomporre la vita, non certo di fornire una rappresentazione
rassicurante di essa.
Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero
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