(articolo apparso su Prima Pagina del 22 marzo 2014)
Pubblicato nel 1954, un anno prima,
quindi, della morte del suo autore Thomas Mann, L'inganno è un racconto per certi versi crudele, la storia – come
la definì lo stesso scrittore tedesco – «di un'amara frode della natura» ai
danni di una povera donna, ignara del destino che, inesorabile, l'attende.
Quando uscì, il libro di Mann destò scandalo: la tematica, in esso affrontata, del
rapporto dell'individuo con la propria sessualità costituiva ancora, negli anni
Cinquanta, un autentico tabù. Abile a schermirsi dagli attacchi polemici di
molti lettori indignati, l'autore replicò che il suo era stato un esperimento,
e, con malcelato disinteresse per l'ottusità del suo pubblico, aggiunse: «Io
sono sempre stato rerum novarum cupidus,
ho sempre sperimentato: e ciò si fa con alterna fortuna».
Il racconto narra la vicenda di
Rosalie von Tümmler, vedova cinquantenne che, negli anni Venti del Novecento,
vive a Düsseldorf «in condizioni agiate» insieme con i due figli. Anna, la
maggiore, è una ventinovenne condizionata da una malformazione fisica (ha un
piede caprino, che la costringe a muoversi con «un'andatura da zoppa») e
rassegnata a rimanere nubile; dotata di spiccata intelligenza, riversa i propri
sentimenti sulla tela, dipingendo quadri astratti. Eduard, il figlio più giovane,
frequenta l'ultimo anno di liceo classico, pur non apprezzando quello che
reputa un «noioso umanesimo»: la sua massima aspirazione sarebbe quella di
lasciare la Germania per trasferirsi negli Stati Uniti, l'«Eldorado della
tecnica».
Rosalie è una donna attraente –
nonostante l'età non più giovanile – e piena di vita. Ama i fiori, soprattutto
le rose, e si sente fortemente attratta dal mistero della natura che regola, in
modo del tutto spontaneo, il normale flusso dell'esistenza. Ciò nondimeno, si
sente sola, e fatica ad accettare il lento ma progressivo decadimento fisico:
ai suoi occhi, l'inizio della menopausa non è altro che il primo passo verso la
morte dei sensi, il venir meno del suo essere autenticamente donna, lo
spegnersi, in definitiva, di ogni residuo di quell'avvenenza che è la sola cosa
che potrebbe ancora renderla desiderabile.
La sua routine di matrona borghese scorre a ritmo tranquillo, finché nella
sua vita non irrompe il giovane e avvenente Ken Keaton, un americano di
ventiquattro anni – giunto in Europa durante la prima guerra mondiale e
stabilitosi in Germania, innamorato del vecchio continente, al termine del
conflitto – assunto per impartire lezioni private d'inglese al figlio liceale.
Sedotta dal fascino di Ken, Rosalie finisce per innamorarsi del giovane
insegnante e, vista l'impossibilità di reprimere i suoi sentimenti (che in
realtà non sono altro che mera attrazione sessuale), si sforza di accettare la
propria debolezza, pur senza avere il coraggio di confessarla apertamente. Ben
presto, però, Anna coglie il profondo turbamento della madre, la quale, colta
alla sprovvista e oramai determinata a non vergognarsi di sé, confessa il suo
segreto senza ulteriore indugio. A dare manforte a Rosalie sopraggiunge,
inoltre, quello che ella interpreta come un favorevole segno del destino: la
ricomparsa, improvvisa, delle mestruazioni e, con esse, della femminilità che
credeva perduta.
Trascorso nel frattempo l'inverno, con
l'inizio della primavera Rosalie decide di invitare Ken per una gita, in
compagnia dei figli, al castello di Holterhof, non lontano da Düsseldorf. Qui,
complice anche l'atmosfera romantica, la donna rompe gli indugi e si dichiara
al giovane, con la promessa di andare in seguito a fargli visita nella sua abitazione.
Ma quella stessa notte la natura decide di svelare tragicamente il suo beffardo
inganno: colta da un grave malore, Rosalie è trasportata in una clinica
ginecologica, dove, dopo accurati esami, le viene comunicato che quelle che
aveva creduto mestruazioni sono in realtà perdite emorragiche dovute a un
tumore maligno all'utero. Poche settimane dopo, pur sempre salda nella sua
devozione nei confronti della natura, «l'ingannata» muore.
Il racconto di Mann è quindi una
spietata riflessione sull'imprevedibilità della vita, che spesso stravolge
progetti e programmi senza il minimo preavviso. Anche quando tutto sembra andare
per il meglio, alla natura basta un attimo per distruggere, dalle fondamenta,
quella sensazione di sicurezza e stabilità che una persona avverte quando si
crede in pace con il mondo. In sostanza, se ci si illude di avere spalle
robuste per sopportare qualunque peso, è facile che, prima o poi, si venga risucchiati
nel vortice delle contraddizioni che governano quel gigantesco equivoco che è
l'esistenza terrena.
Questo, infatti, è il senso
drammatico del racconto di Mann: l'inganno, nel caso di Rosalie, non è solo
quello dell'improvvisa malattia; è la vita in sé che rappresenta una colossale
presa in giro. Nel momento in cui ci illudiamo di comprendere il significato
più profondo dell'esistenza siamo tutti suscettibili, chi più chi meno, di
cadere vittime di una forza oscura che, si direbbe, trova gusto nel prendersi
gioco di noi. L'errore più comune che si possa commettere è pertanto quello di
abbassare la guardia, poiché nessuna conquista sarà mai così consolidata da
risultare scontata. Bisogna essere sempre preparati al peggio. E accettare, con
coraggio, la precarietà di tutto ciò che ci circonda, consapevoli che,
dall'oggi al domani, la natura potrebbe facilmente stravolgerlo.
Si tratta, forse, di considerazioni
ovvie, ma non per questo da sottovalutare. Del resto, chiunque può riconoscersi
nella vicenda narrata da Mann. Quante volte, infatti, capita una disgrazia
improvvisa? Chi non ha mai perso, di colpo ed inaspettatamente, una persona
cara? Il punto è che, se non possiamo impedire che si verifichino stravolgimenti
nella nostra vita, dobbiamo farci trovare pronti, in ogni momento, ad
affrontare le fasi di crisi. È quanto dice, peraltro, anche il Vangelo: «Se il
padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe
scassinare la casa». Il che, si badi, proseguendo con la metafora, non
significa che dobbiamo raddoppiare le inferriate – perché tanto, a forza di
tentare, il ladro troverà sempre il modo di forzarle –, bensì che dobbiamo prepararci
all'inevitabile, dal momento che il dolore e la sofferenza, come il ladro, non
bussano certo prima di entrare. Ovvio, è facile a dirsi. Il più delle volte,
quando una persona si ammala gravemente, parte il solito ritornello: «Che
disgrazia! L'altro giorno stava benone». Ma si tratta di una considerazione
senza senso: tutti i malati sono sani fino al momento in cui non si manifestano
i sintomi della malattia.
La vita è potenzialmente un grosso
inganno, anche se, a ben vedere, diventa tale solo se, da stolti, crediamo di
poterla gestire con assoluta razionalità. Al contrario, la vita può essere
vista come un dono, che inspiegabilmente ci viene offerto e altrettanto
inspiegabilmente ci viene tolto. È come un pegno: ci è affidata, ma non è del
tutto nostra. È troppo comodo pretendere di vivere come se detenessimo il
diritto assoluto all'esistenza e allo stesso tempo ribellarsi all'idea che,
così come all'improvviso veniamo al mondo, senza preavviso ce ne andiamo.
Ciascun essere umano è un mistero sia quando nasce che quando muore.
Forse, letto da questa prospettiva,
il breve romanzo di Mann risulta meno drammatico di quanto sembri. In fin dei
conti, esso contiene – come detto – considerazioni banali, scontate, superflue.
Cosa c'è di strano nel raccontare la storia di una persona che muore di tumore?
Nulla, in apparenza. Sennonché Mann ci presenta una figura che accetta la morte
proprio – paradosso? – per le circostanze in cui essa sopraggiunge. Così
Rosalie, poco prima di cedere alla malattia, si rivolge alla figlia: «Anna, non
parlare di inganno e di crudeltà schernitrice della natura. Non rimproverarla,
come non la rimprovero io. Me ne vado a malincuore, da voi, dalla vita e dalla
sua primavera. Ma come ci sarebbe primavera senza morte? La morte è pure un
grande strumento di vita, e se per me assunse l'aspetto della risurrezione e
dell'amore, non fu inganno, ma bontà e grazia».
Rosalie, in punto di morte, ci offre
quindi un inaspettato messaggio di speranza. La morte, afferma, può e deve
essere un pungolo che ci sprona a valorizzare ogni singolo istante della nostra
vita. Nulla, dopotutto, ci è dovuto, ma tutto ci è concesso. Poco prima di
esalare l'ultimo respiro, Rosalie si rallegra al pensiero di avere vissuto
intensamente, con passione, la parte conclusiva della sua esistenza. Forse mai
come in quei momenti si è sentita viva per davvero. Perché vivere, ora le è
chiaro, vale molto di più che sopravvivere.
In memoriam:
In memoria di Franko Mileta (1957 – 2014), uomo di sport,
un amico, vinto da un male incurabile.
Nella speranza che anche tu, come la Rosalie di Thomas
Mann, ti sia spento senza rimpianti.
Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero
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