giovedì 20 febbraio 2014

«Il vecchio e il mare»: la ribellione dell’uomo all’ineluttabile destino di sconfitta

(articolo apparso su Prima Pagina del 15 febbraio 2014)

Pubblicato, pare, dopo sedici anni di gestazione, Il vecchio e il mare valse ad Ernest Hemingway il Premio Pulitzer nel 1953 e, il 28 ottobre dell'anno seguente, il Nobel. Per avere un'idea dell'enorme successo del racconto, basti dire che quando esso apparve per la prima volta in un numero unico di «Life» del 1° settembre 1952 furono vendute 5.318.658 copie in appena ventiquattro ore.
La trama del breve romanzo è esilissima.
Santiago è un vecchio e povero pescatore cubano che non ha amici né affetti all'infuori di Manolin, un ragazzo che abitualmente lo accompagna in mare. Da qualche tempo, però, si è sparsa la voce che Santiago sia «salao», sfortunato: sono infatti ottantaquattro giorni che non pesca nulla, un numero così elevato che sembra quasi la conseguenza di una maledizione. Manolin è il solo che abbia ancora fiducia nel vecchio, ma pure lui – costretto dai genitori, convinti che sia più saggio imbarcarsi con altri pescatori più affidabili – ha dovuto abbandonarlo, e per questo si sente fortemente in colpa. Tuttavia Santiago non serba rancore: è consapevole che il ragazzo non ha alternative, e apprezza molto alcune sue premure (Manolin si preoccupa che il vecchio abbia cibo in casa, lo aiuta a caricare e scaricare dalla barca le attrezzature di pesca, ascolta con tenerezza le sue riflessioni sui tempi della giovinezza o sul baseball).
Quando dunque, dopo ottantaquattro giorni di fallimenti, riprende la via del mare, Santiago è solo, anche se si sente fortemente legato all'oceano, l'unica sua vera casa. «Pensava sempre al mare come a la mar», commenta il narratore, che prosegue: «A volte coloro che l'amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna. Alcuni fra i pescatori più giovani [...] ne parlavano come di el mar al maschile. Ne parlavano come di un rivale o di un luogo o perfino di un nemico. Ma il vecchio lo pensava sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane o malvagie era perché non poteva evitarle».
Se quindi il mare, con il suo abbraccio quasi materno, è molto più di un luogo, anche i suoi abitanti – i pesci e gli uccelli – non sono semplici animali, ma compagni di viaggio in un mondo primitivo dove l'unica distinzione è quella tra cacciatore e preda. La legge del mare è la lotta per la vita, senza esclusione di colpi. Perciò quando, dopo essersi spinto molto al largo, riesce finalmente a far abboccare un enorme marlin, Santiago sa perfettamente che l'animale combatterà fino allo stremo delle forze per avere la meglio sul suo cacciatore. Se vorrà prevalere, anche il vecchio dovrà dare tutto se stesso, ignorando il dolore alle mani, la fame, la fatica e il peso dell'età.
La lotta con il pesce dura tre giorni, ma alla fine, sfinito, il marlin è sconfitto e viene attraccato, morto, alla barca. Santiago però non si illude: sa perfettamente che il porto è lontano e, nel lungo viaggio di ritorno, di certo non mancheranno le insidie. Attratti dalla carcassa del pesce che perde sangue, giungono infatti gli squali. Il vecchio tenta in tutti i modi di scacciarli – e, a colpi di coltello e di remo, ne uccide più d'uno –, ma alla fine è costretto ad arrendersi. Quando rientra in porto, del grosso marlin non è rimasto che lo scheletro.
La sconfitta di Santiago è però solo apparente. Nel porto, gli altri pescatori sono affascinati dai resti dell'enorme pesce ancora attraccato alla barca, mentre Manolin – che aveva temuto il peggio per il vecchio, assente da tre giorni – decide di tornare a fare coppia con lui («Al diavolo la fortuna», è il suo commento; «La fortuna te la porto io»).
Quello di Hemingway è, in sostanza, un inno alla caparbietà. Ogni uomo, come Santiago, vive per conseguire un obiettivo, deve necessariamente combattere per raggiungere una meta. Volendo leggere l'intero romanzo come un'allegoria dell'esistenza – il che è operazione lecita a patto che non si ecceda con il simbolismo, dal quale Hemingway, per sua stessa ammissione, intendeva rifuggire –, non importa quanto sia grosso il pesce da catturare: l'importante è andare a pesca. Solo mettendosi costantemente alla prova l'uomo dà un senso alla propria vita. Il sacrificio, la tenacia, la capacità di non farsi sopraffare dal dolore: sono questi i valori che nobilitano l'esistenza, i soli che, attribuendole un significato, la rendano accettabile.
Santiago incarna la figura del ribelle che non accetta di darsi per vinto e non intende rassegnarsi a farsi travolgere dalle avversità. La sua lotta contro il mare è in realtà un'aspra battaglia con se stesso, per vincere la tentazione, a fronte di difficoltà che paiono insormontabili, di arrendersi. Anche se la pesca si risolve in un fallimento a causa della voracità degli squali, Santiago può ritenersi comunque vincitore: un uomo che crede nei propri mezzi, accetta la solitudine senza perdersi d'animo e riconosce con umiltà i propri limiti potrà sempre camminare a testa alta. Il vero sconfitto, sembra voler dire Hemingway, non è colui che fallisce, bensì chi si tira indietro per paura di perdere. Del resto, anche una vittoria è tale solo se non ci si illude che sia definitiva. Quando cattura il marlin, Santiago sa benissimo che lo attende ancora tanto lavoro, che l'insidia è sempre dietro l'angolo. In mare, come nella vita, non si può dare nulla per scontato.
Il punto però, si badi, non è solo quello della fragilità dell'uomo rispetto alla straripante forza della natura. Hemingway, a ben vedere, dice molto più di questo. In che misura – questo è l'interrogativo che sta alla base del romanzo – nella vita è possibile sentirsi vincitori? E poi, soprattutto, rispetto a chi, o a che cosa? A seconda dei punti di vista, Santiago può apparire sconfitto (è vecchio, povero e debole e il suo marlin è andato perduto) ma anche vincitore, poiché ha pur sempre portato a terra la carcassa di un pesce enorme che lascia tutti a bocca aperta e, cosa più importante, può contare sull'affetto sincero di Manolin. Lo stesso vale per il marlin, che viene ucciso ma non sconfitto, essendosi mostrato caparbio e determinato a lottare fino alla morte.
La vita, in altre parole, non è una partita che, in assoluto, si possa vincere o perdere; non è come un incontro di baseball (lo sport preferito di Santiago, grande tifoso di Joe Di Maggio). La partita che interessa a Hemingway – come scrisse Eugenio Montale quando recensì Il vecchio e il mare sul «Corriere della Sera» l'11 ottobre 1952 – è «il combattimento della morte con la vita», l'eterno scontro tra il desiderio di procrastinare il più possibile l'ora della fine e la consapevolezza della caducità dell'esistenza. La morte stessa – prosegue Montale – è necessariamente «sentita come una forma della vita», dal momento che l'uomo, a lungo andare, per la sua intrinseca condizione di essere vivente destinato a morire, non può sottrarsi alla sconfitta. Tra lui e il mare, alla fine vincerà sempre il mare. Non c'è scampo. Perciò, chiunque voglia considerarsi comunque vincitore non ha altra scelta che provare a tenere testa al destino preservando la propria dignità. La vera nobiltà appartiene a chi possiede un animo indomito, a chi non indietreggia, a chi non si arrende presagendo il fallimento. Manolin, nel romanzo, è il solo che l'abbia capito. Egli vuole bene al vecchio poiché sa guardare oltre la superficie, e riesce a vedere ciò che fa davvero la differenza tra le persone: il coraggio. Non importa quanto al largo ci si debba spingere, quanto profondo e impetuoso sia l'oceano, quanto grosso sia il pesce da pescare e quanto numerosi siano gli squali affamati: per salire su una barca, in ogni caso, ci vuole coraggio. Per vivere senza alcuna certezza che non sia quella della fine che tutti ci attende, per tenere testa al destino gridando con rabbia la propria voglia di andare avanti, per decidere di essere d'aiuto ai compagni di viaggio in difficoltà serve un coraggio da leoni. Ma se ci mostriamo caparbi, forti, ostinati, se accettiamo l'idea della nostra fragilità senza rassegnarci prematuramente alla sconfitta, ecco che le persone di valore si accorgeranno di noi e ci tenderanno una mano, si comporteranno come Manolin con Santiago. Solo così, unendo le forze, è possibile che il mare faccia un po' meno paura.

Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero

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