domenica 14 dicembre 2014

«Una questione privata»: l’esperienza totalizzante della guerra partigiana

(articolo apparso su Prima Pagina del 13 dicembre 2014)

Apparso postumo nella primavera del 1963 – pochi mesi dopo la scomparsa del suo autore, Beppe Fenoglio – Una questione privata è un romanzo per certi versi unico nell’ambito della letteratura resistenziale. In esso infatti la lotta partigiana fa da sfondo a una vicenda di poco conto, che coinvolge il protagonista a livello strettamente personale; e la guerra è niente più di un dato di fatto, un’esperienza che va accettata e con la quale bisogna forzatamente convivere.
Una questione privata è la storia di una ricerca. Nel corso di un’azione militare ad Alba (nelle Langhe), il partigiano Milton (studente poco più che ventenne) si imbatte nella villa dove, nei primi anni di guerra, si era rifugiata Fulvia, la ragazza di cui è perdutamente innamorato. La casa è vuota: Fulvia, sfollata ad Alba da Torino per timore dei bombardamenti, dopo l’8 settembre del 1943 ha fatto ritorno in città, nel frattempo divenuta più sicura delle campagne, teatro di rastrellamenti e rappresaglie.
Per Milton rivedere la villa è un modo per sentirsi nuovamente vicino alla ragazza che ama («Arrivò sotto il portichetto. “Fulvia, Fulvia, amore mio”. Davanti alla porta di lei gli sembrava di non dirlo al vento, per la prima volta in tanti mesi»). Ma Fulvia è partita, e nella casa è rimasta solo la custode, che prontamente riconosce Milton. Questi le chiede il permesso di entrare, attratto dalla prospettiva di rievocare il ricordo delle lunghe giornate trascorse a chiacchierare con Fulvia, quasi sempre di letteratura, poesie e canzoni americane (di cui è esperto conoscitore e che traduce senza difficoltà). A un tratto, però, la governante insinua nella mente del giovane un atroce dubbio: è più che probabile che Fulvia se la intendesse con Giorgio, un bel ragazzo di Alba, amico di Milton e ora come lui partigiano: «Loro due non li sentivo mai parlare. Io origliavo [...]. Ma c’era sempre un silenzio, quasi non ci fossero. E io non stavo per niente tranquilla. Ma non dica queste cose al suo amico, mi raccomando. Si misero a far tardi, ogni volta più tardi. Fossero sempre rimasti qui fuori, sotto i ciliegi, non mi sarei preoccupata tanto. Ma cominciarono a uscire a passeggio. Prendevano per la cresta della collina».
Per Milton la rivelazione è sconcertante. Immediatamente decide che deve sapere, deve a tutti i costi conoscere la verità sul presunto tradimento di Fulvia. Chiede dunque un permesso al comando partigiano per poter andare alla ricerca di Giorgio, giacché è convinto che gli basti incrociare gli occhi con quelli dell’amico per avere conferma (o smentita) delle parole della custode della villa. Ma Giorgio non si trova: nessuno, tra i compagni partigiani, sa dove sia finito, finché un contadino non rivela di averlo visto legato su un carro, tenuto prigioniero da alcuni fascisti.
La cattura di Giorgio rappresenta un altro duro colpo per Milton, che teme che il suo amico venga giustiziato, portandosi nella tomba l’agognata verità su Fulvia. L’unica soluzione è quella di trovare al più presto un prigioniero da scambiare con Giorgio: ma al momento nessuna brigata della zona è in grado di fornirne uno. A Milton non resta, pertanto, che fare da sé, e, dopo infruttuosi tentativi, la sua ricerca viene premiata dalla preziosa informazione che riceve da una vecchia: un ufficiale nemico ha una relazione con una donna che abita nei pressi di Alba (dove Giorgio è tenuto prigioniero), e si reca spesso furtivamente in casa sua. È addirittura un sergente, quindi una preziosa moneta di scambio. Milton gli tende con successo un’imboscata, riesce a catturarlo, ma è costretto a freddarlo quando questi, senza motivo, tenta la fuga. La morte dell’ufficiale fascista è fortuita, non voluta: ma sarà comunque vendicata con la fucilazione di due giovanissime staffette partigiane.
Perduta ogni speranza di liberare Giorgio, Milton decide di fare ritorno alla villa di Fulvia per interrogare nuovamente la governante, anche se, preso dallo sconforto, è ormai certo di essersi illuso e di avere perduto per sempre il suo amore («Ma che ci vado a fare? […] Non c’è nulla da chiarire, da approfondire, da salvare. Non ci sono dubbi. Le parole della donna, una per una, e il loro senso, il loro unico senso…»). Giunto nei pressi dell’abitazione, è sorpreso da un drappello di fascisti e costretto a una fuga precipitosa. Mentre corre forsennatamente, schivando miracolosamente centinaia di pallottole, Milton pare rassegnarsi all’imminente destino di morte. D’un tratto, però, riacquista lucidità: «Sono vivo. Fulvia. Sono solo. Fulvia, a momenti mi ammazzi!».
I fascisti, pian piano, perdono terreno, ma Milton non rallenta. Continua a correre all’impazzata, finché non raggiunge una borgata. Dapprima la schiva, poi però torna sui suoi passi: «Aveva bisogno di veder gente e d’esser visto, per convincersi che era vivo, non uno spirito che aliava nell’aria in attesa di incappare nelle reti degli angeli». Superate le case – è questa la conclusione del romanzo –, «gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto. Come entrò sotto gli alberi, questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò».
Il finale di Una questione privata è, con tutta evidenza, decisamente aperto. Milton è inseguito dai fascisti che sparano a più non posso, riesce a guadagnare qualche metro di vantaggio e infine, giunto in prossimità di un bosco, crolla. Resta quindi il dubbio: Milton muore o si salva? Fenoglio è volutamente evasivo, come si evince del resto dalla scelta stessa dell’ultimo verbo – «crollò» –, che può voler dire molte cose diverse.
Al riguardo, esistono opposte interpretazioni (e forse è lecito supporre che Milton si salvi, se non altro perché una persona ferita a morte difficilmente riesce a correre a perdifiato), ma è probabile che Fenoglio non desse troppa importanza al destino del protagonista del suo romanzo. A prescindere cioè dal fatto che Milton muoia o che sopravviva, ciò che conta è che egli, alla fine del suo percorso di ricerca, non sia più disposto a sacrificare tutto per conoscere la verità su Fulvia. Di colpo, la sua questione privata – così insignificante se confrontata con la battaglia per la libertà combattuta dalle formazioni partigiane – diventa un insensato atto di egoismo, un sacrificio del tutto inutile. Ben altre, del resto, sono le ragioni per cui vale la pena morire: si può donare la vita per un ideale, per difendere ciò che si ha di più caro, ma non certo per sciogliere uno stupido dubbio, peraltro tale solo nella mente di Milton, offuscata dalla gelosia.
Fenoglio, in sostanza, si serve di una vicenda di poco conto per fare luce sul dramma psicologico, prima ancora che materiale, della guerra civile. Fare il partigiano tra il 1943 e il 1945 significa, cioè, uscire allo scoperto in un contesto nel quale la maggioranza tende a starsene cautamente in disparte, in attesa che ritorni la pace (quasi per grazia ricevuta). Significa accettare di rischiare la pelle per il solo fatto che si è deciso di prendere posizione tra due parti in lotta e, soprattutto, acquisire la consapevolezza che, quando la posta in palio è così alta, non c’è spazio per nessuna questione privata. In altre parole, ogni singolo aspetto della vita di un partigiano diventa pubblico, nel senso che di ogni azione bisogna rendere conto.
Al riguardo, è esemplare l’inserimento dell’episodio della fucilazione delle due staffette partigiane. Come infatti nota Gabriele Pedullà, Fenoglio vuole evitare «che la disperata corsa nel fango alla ricerca della “verità su Fulvia” possa essere liquidata come una semplice “questione privata”. In definitiva per far comprendere ai lettori che, dietro l’apparente eccezionalità dell’esperienza del partigiano anglomane, è della guerra civile italiana nel suo complesso che il romanzo […] sta parlando. La guerra civile: con il suo terribile principio di reversibilità dove (indipendentemente dai torti e dalle ragioni) ciascuno occupa a turno il ruolo del fucilato e del fucilatore, della vittima e del carnefice».
Una questione privata si pone pertanto l’obiettivo di far entrare la Storia nella storia, ovvero di impedire che la seconda obliteri la prima. Attraverso l’assurda ricerca di Milton, ostinato nel voler inseguire una verità già ampiamente alla sua portata, Fenoglio riesce a raccontare il dramma di una guerra fratricida, combattuta per lo più da ragazzini, che nega a chiunque vi prenda parte il privilegio dell’egoismo.

Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero

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