(articolo apparso su Prima Pagina del 6 dicembre 2014)
Sito dell’Istat, pagina riguardante i dati relativi alla
lettura di libri in Italia: «Nel 2013, oltre 24 milioni di persone di 6 anni e
più dichiarano di aver letto, nei 12 mesi precedenti l’intervista, almeno un
libro per motivi non strettamente scolastici o professionali. Rispetto al 2012,
la quota di lettori di libri è scesa dal 46% al 43%».
Che l’Italia sia un paese in crisi, lo si evince anche da
questi numeri: oltre la metà degli abitanti della penisola non legge nemmeno un
libro nell’arco di un intero anno. Capito bene? Nemmeno uno! In compenso,
sempre secondo i dati Istat, nel 2013 il 98% dei bambini tra i 4 e i 14 anni trascorre
tre ore e ventiquattro minuti al giorno davanti ad un televisore. In pratica,
terminato l’orario scolastico, i nostri giovani cominciano una sorta di secondo
lavoro – che porta loro via un tempo di poco inferiore a quello trascorso sui
banchi – che li tiene incollati ad uno schermo. Il tutto senza contare le ore
dedicate ad internet e ai telefoni cellulari (altro dato significativo: l’uso
del cellulare tra gli 11-17enni è passato dal 55,6% del 2000 al 92,7% del 2011).
Dunque per la lettura sembra essenzialmente essere venuto
meno il tempo. Per quanto riguarda i ragazzi (che necessariamente devono essere
tenuti in particolare considerazione in quanto testimoni e protagonisti del
mondo che cambia), tolti la scuola, si spera un po’ di studio e tutto l’insieme
delle attività che si svolgono davanti ad uno schermo, restano davvero
pochissime ore a disposizione da dedicare ad un buon libro. Ebbene, a questo
punto gli interrogativi da porsi sono in sostanza due. Primo: riteniamo che
questa crescente disaffezione nei confronti della lettura sia un problema per
la nostra società, oppure, tutto sommato, siamo da un lato convinti che la
cultura sia un superfluo passatempo da professori, e dall’altro per nulla
preoccupati che la televisione fagociti per intero il nostro tempo libero?
Perché il nocciolo della questione è tutto qui: meno si legge, meno il distacco
dai libri sarà avvertito come problema; e se la scuola non solo non ci fa amare
i libri, ma tende, al contrario, a farceli odiare, ecco che la frittata è
fatta.
Secondo interrogativo: quali sono le ragioni che
provocano agli italiani questa specie di allergia alla carta stampata? Porre
questa domanda significa prendere atto del fatto che i dati statistici sono
molto più allarmanti di quanto sembrino. Occorre infatti tenere presente che, nel
2010, tra gli abitanti del Bel Paese che leggono, il 45,6% non sfoglia più di
tre libri all’anno e solo il 13,8% rientra nella categoria dei cosiddetti
“lettori forti”, i quali leggono dodici o più libri all’anno. In sostanza,
quasi la metà dei lettori “consuma” meno di un libro per stagione, mentre poco
più di un lettore su dieci riesce a tenere il ritmo di un libro al mese. A
completare il quadro, si tenga presente che nel 2011 il 9,9% delle famiglie
dichiara di non possedere alcun libro in casa.
Va detto, a voler essere un tantino più precisi, che i
dati fin qui presi in considerazione offrono una media che non tiene conto di
alcune importanti differenze. Per esempio, tornando all’indagine relativa al
2013, tra le donne la percentuale delle lettrici sale al 49,3%, mentre tra gli
uomini scende ad uno sconfortante 36,4%. Si legge poi molto di più al Nord (50,1%
nel Nord-ovest; 51,3% nel Nord-est) che al Sud e nelle isole (30,7%); per
quanto concerne, infine, i ragazzi della fascia di età 6-14 anni, legge il 75%
di coloro che hanno entrambi i genitori lettori, contro solo il 35,4% di quelli
con genitori che non leggono.
Quest’ultimo dato, già di per sé, è molto significativo:
quella della lettura sembra essere un’abitudine che si trasmette quasi
spontaneamente di padre in figlio. Leggere aiuta a far leggere; parlare di
libri evidentemente invoglia potenziali nuovi lettori a sfogliare qualche
volume in più. E da qui è necessario partire: se si entra nel “tunnel del
libro” (per i più svariati motivi: perché mamma e papà leggono o posseggono una
bella collezione di libri, perché un professore ci incuriosisce, perché si è
deciso di cominciare anche solo per provare e non si riesce più a smettere…), è
quasi sempre difficile uscirne, nel senso che quando si familiarizza con la
lettura, il libro diventa un amico inseparabile.
Poi, certo, ci sono i numeri sopra citati. In Italia,
ahimè, non legge più nessuno, e i pochi che leggono spesso leggono quasi nulla.
Però non bisogna darsi per vinti: se si è capaci di toccare le corde giuste,
non è poi così difficile convincere una persona a fare un salto in biblioteca.
Bisogna dirsele queste cose, altrimenti il pessimismo misto a disgusto di chi
con orgoglio si sente (giustamente) parte di un’elite solo perché legge rischia
di diventare una futile (e un po’ snob) presa di distanza dal mondo. Chi legge
deve in altre parole sentire il dovere di coinvolgere più persone possibili,
anche solo con brevi accenni. Stuzzicare l’appetito di chi ritiene di non aver
bisogno di cibo (per la mente, nel nostro caso) dovrebbe diventare una sorta di
missione comune a tutti coloro che rientrano nel 43% certificato dall’Istat.
Per quale motivo, infatti, in Italia si legge così poco?
D’accordo: c’è la questione dello scarso tempo a disposizione di cui si diceva
poc’anzi. E si tratta senz’altro di un problema reale, poiché è evidente che –
se intendiamo, come è lecito presumere che molti facciano, la lettura come un
passatempo – negli ultimi trent’anni la tecnologia ha messo a disposizione una
miriade di apparecchi che sono più accattivanti, allettanti e facilmente
fruibili dello strumento-libro. Ma siamo sicuri che la lettura di un libro
debba essere messa sullo stesso piano della visione di un film o di una partita
ad un videogioco? Davvero cioè possiamo ritenere i libri competitivi rispetto a
questo genere di svaghi?
Il punto è che la lettura sarà sempre perdente se
considerata un mero passatempo, un modo per distrarsi o per rilassarsi. Al
contrario, essa è sinonimo di concentrazione, di impegno e di fatica. Leggere è
cosa gratificante solo a patto di mettersi in gioco, di accettare di farsi
carico del sacrificio della riflessione. Libri e giochi, in questo senso, non
hanno nulla in comune, dal momento che nessun lettore serio legge solo per
divertirsi, nemmeno quando ha tra le mani un volume di poco conto. Leggere
significa essere disposti a sgombrare la mente per poter entrare in un mondo
che prende forma solo attraverso l’immaginazione o il ragionamento. Leggere, in
definitiva, è un investimento: si accetta di compiere una grande, faticosa
cavalcata riga per riga, in cambio della promessa di ricevere una
gratificazione mille volte maggiore dopo la conclusione dell’ultima pagina.
Occorre dunque parlare di libri facendo leva sulla loro
intrinseca diversità: un libro, infatti, è un prodotto unico e insostituibile,
e costituisce il principale veicolo di diffusione della cultura. È impensabile
che una società evoluta come la nostra pensi di poter fare a meno della lettura,
a meno che non intenda rassegnarsi a veder proliferare esseri sempre più
ignoranti e insignificanti. Certo è, però, che siamo a bordo di una nave che
sta colando a picco. E se vogliamo evitare di sprofondare del tutto, è bene che
corriamo al più presto ai ripari: per salvare i libri occorre parlare di libri.
E bisogna farlo un po’ dappertutto: in casa, nelle scuole, in televisione, su
internet. Ovunque! Chi ha la fortuna di amare la lettura deve comportarsi come
una guida turistica e condurre i non lettori alla scoperta dei tesori che sono
custoditi tra le pagine dei libri.
Quanto poi alle scuole, esse hanno il compito più
delicato: dotare gli studenti degli strumenti necessari per coltivare interessi
culturali. La scuola, cioè, non deve riempire di nozioni dei contenitori vuoti,
ma far sì che i ragazzi imparino ad apprezzare la bellezza e l’importanza dello
studio individuale. Per raggiungere questo traguardo, occorrono sicuramente
basi solide, che purtroppo l’istruzione al giorno d’oggi non sempre garantisce
(l’impressione, per esempio, è che molti studenti fatichino a comprendere i
grandi classici della nostra letteratura proprio a livello letterale prima
ancora che contenutistico): ma se queste sono la conditio sine qua non, è altresì vero che da sole non bastano. Ciò
che manca davvero al nostro tempo è la capacità di far scoccare la scintilla,
di far nascere l’amore per i libri. Perché – qualunque lettore potrebbe
confermarlo – esiste una legge non scritta: chi contrae il virus della
bibliofilia, non ha speranza alcuna di guarire.
Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero
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