domenica 14 dicembre 2014

Allarme libri: in Italia si legge sempre meno

(articolo apparso su Prima Pagina del 6 dicembre 2014)

Sito dell’Istat, pagina riguardante i dati relativi alla lettura di libri in Italia: «Nel 2013, oltre 24 milioni di persone di 6 anni e più dichiarano di aver letto, nei 12 mesi precedenti l’intervista, almeno un libro per motivi non strettamente scolastici o professionali. Rispetto al 2012, la quota di lettori di libri è scesa dal 46% al 43%».
Che l’Italia sia un paese in crisi, lo si evince anche da questi numeri: oltre la metà degli abitanti della penisola non legge nemmeno un libro nell’arco di un intero anno. Capito bene? Nemmeno uno! In compenso, sempre secondo i dati Istat, nel 2013 il 98% dei bambini tra i 4 e i 14 anni trascorre tre ore e ventiquattro minuti al giorno davanti ad un televisore. In pratica, terminato l’orario scolastico, i nostri giovani cominciano una sorta di secondo lavoro – che porta loro via un tempo di poco inferiore a quello trascorso sui banchi – che li tiene incollati ad uno schermo. Il tutto senza contare le ore dedicate ad internet e ai telefoni cellulari (altro dato significativo: l’uso del cellulare tra gli 11-17enni è passato dal 55,6% del 2000 al 92,7% del 2011).
Dunque per la lettura sembra essenzialmente essere venuto meno il tempo. Per quanto riguarda i ragazzi (che necessariamente devono essere tenuti in particolare considerazione in quanto testimoni e protagonisti del mondo che cambia), tolti la scuola, si spera un po’ di studio e tutto l’insieme delle attività che si svolgono davanti ad uno schermo, restano davvero pochissime ore a disposizione da dedicare ad un buon libro. Ebbene, a questo punto gli interrogativi da porsi sono in sostanza due. Primo: riteniamo che questa crescente disaffezione nei confronti della lettura sia un problema per la nostra società, oppure, tutto sommato, siamo da un lato convinti che la cultura sia un superfluo passatempo da professori, e dall’altro per nulla preoccupati che la televisione fagociti per intero il nostro tempo libero? Perché il nocciolo della questione è tutto qui: meno si legge, meno il distacco dai libri sarà avvertito come problema; e se la scuola non solo non ci fa amare i libri, ma tende, al contrario, a farceli odiare, ecco che la frittata è fatta.
Secondo interrogativo: quali sono le ragioni che provocano agli italiani questa specie di allergia alla carta stampata? Porre questa domanda significa prendere atto del fatto che i dati statistici sono molto più allarmanti di quanto sembrino. Occorre infatti tenere presente che, nel 2010, tra gli abitanti del Bel Paese che leggono, il 45,6% non sfoglia più di tre libri all’anno e solo il 13,8% rientra nella categoria dei cosiddetti “lettori forti”, i quali leggono dodici o più libri all’anno. In sostanza, quasi la metà dei lettori “consuma” meno di un libro per stagione, mentre poco più di un lettore su dieci riesce a tenere il ritmo di un libro al mese. A completare il quadro, si tenga presente che nel 2011 il 9,9% delle famiglie dichiara di non possedere alcun libro in casa.
Va detto, a voler essere un tantino più precisi, che i dati fin qui presi in considerazione offrono una media che non tiene conto di alcune importanti differenze. Per esempio, tornando all’indagine relativa al 2013, tra le donne la percentuale delle lettrici sale al 49,3%, mentre tra gli uomini scende ad uno sconfortante 36,4%. Si legge poi molto di più al Nord (50,1% nel Nord-ovest; 51,3% nel Nord-est) che al Sud e nelle isole (30,7%); per quanto concerne, infine, i ragazzi della fascia di età 6-14 anni, legge il 75% di coloro che hanno entrambi i genitori lettori, contro solo il 35,4% di quelli con genitori che non leggono.
Quest’ultimo dato, già di per sé, è molto significativo: quella della lettura sembra essere un’abitudine che si trasmette quasi spontaneamente di padre in figlio. Leggere aiuta a far leggere; parlare di libri evidentemente invoglia potenziali nuovi lettori a sfogliare qualche volume in più. E da qui è necessario partire: se si entra nel “tunnel del libro” (per i più svariati motivi: perché mamma e papà leggono o posseggono una bella collezione di libri, perché un professore ci incuriosisce, perché si è deciso di cominciare anche solo per provare e non si riesce più a smettere…), è quasi sempre difficile uscirne, nel senso che quando si familiarizza con la lettura, il libro diventa un amico inseparabile.
Poi, certo, ci sono i numeri sopra citati. In Italia, ahimè, non legge più nessuno, e i pochi che leggono spesso leggono quasi nulla. Però non bisogna darsi per vinti: se si è capaci di toccare le corde giuste, non è poi così difficile convincere una persona a fare un salto in biblioteca. Bisogna dirsele queste cose, altrimenti il pessimismo misto a disgusto di chi con orgoglio si sente (giustamente) parte di un’elite solo perché legge rischia di diventare una futile (e un po’ snob) presa di distanza dal mondo. Chi legge deve in altre parole sentire il dovere di coinvolgere più persone possibili, anche solo con brevi accenni. Stuzzicare l’appetito di chi ritiene di non aver bisogno di cibo (per la mente, nel nostro caso) dovrebbe diventare una sorta di missione comune a tutti coloro che rientrano nel 43% certificato dall’Istat.
Per quale motivo, infatti, in Italia si legge così poco? D’accordo: c’è la questione dello scarso tempo a disposizione di cui si diceva poc’anzi. E si tratta senz’altro di un problema reale, poiché è evidente che – se intendiamo, come è lecito presumere che molti facciano, la lettura come un passatempo – negli ultimi trent’anni la tecnologia ha messo a disposizione una miriade di apparecchi che sono più accattivanti, allettanti e facilmente fruibili dello strumento-libro. Ma siamo sicuri che la lettura di un libro debba essere messa sullo stesso piano della visione di un film o di una partita ad un videogioco? Davvero cioè possiamo ritenere i libri competitivi rispetto a questo genere di svaghi?
Il punto è che la lettura sarà sempre perdente se considerata un mero passatempo, un modo per distrarsi o per rilassarsi. Al contrario, essa è sinonimo di concentrazione, di impegno e di fatica. Leggere è cosa gratificante solo a patto di mettersi in gioco, di accettare di farsi carico del sacrificio della riflessione. Libri e giochi, in questo senso, non hanno nulla in comune, dal momento che nessun lettore serio legge solo per divertirsi, nemmeno quando ha tra le mani un volume di poco conto. Leggere significa essere disposti a sgombrare la mente per poter entrare in un mondo che prende forma solo attraverso l’immaginazione o il ragionamento. Leggere, in definitiva, è un investimento: si accetta di compiere una grande, faticosa cavalcata riga per riga, in cambio della promessa di ricevere una gratificazione mille volte maggiore dopo la conclusione dell’ultima pagina.
Occorre dunque parlare di libri facendo leva sulla loro intrinseca diversità: un libro, infatti, è un prodotto unico e insostituibile, e costituisce il principale veicolo di diffusione della cultura. È impensabile che una società evoluta come la nostra pensi di poter fare a meno della lettura, a meno che non intenda rassegnarsi a veder proliferare esseri sempre più ignoranti e insignificanti. Certo è, però, che siamo a bordo di una nave che sta colando a picco. E se vogliamo evitare di sprofondare del tutto, è bene che corriamo al più presto ai ripari: per salvare i libri occorre parlare di libri. E bisogna farlo un po’ dappertutto: in casa, nelle scuole, in televisione, su internet. Ovunque! Chi ha la fortuna di amare la lettura deve comportarsi come una guida turistica e condurre i non lettori alla scoperta dei tesori che sono custoditi tra le pagine dei libri.
Quanto poi alle scuole, esse hanno il compito più delicato: dotare gli studenti degli strumenti necessari per coltivare interessi culturali. La scuola, cioè, non deve riempire di nozioni dei contenitori vuoti, ma far sì che i ragazzi imparino ad apprezzare la bellezza e l’importanza dello studio individuale. Per raggiungere questo traguardo, occorrono sicuramente basi solide, che purtroppo l’istruzione al giorno d’oggi non sempre garantisce (l’impressione, per esempio, è che molti studenti fatichino a comprendere i grandi classici della nostra letteratura proprio a livello letterale prima ancora che contenutistico): ma se queste sono la conditio sine qua non, è altresì vero che da sole non bastano. Ciò che manca davvero al nostro tempo è la capacità di far scoccare la scintilla, di far nascere l’amore per i libri. Perché – qualunque lettore potrebbe confermarlo – esiste una legge non scritta: chi contrae il virus della bibliofilia, non ha speranza alcuna di guarire.

Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero

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