venerdì 8 agosto 2014

Fenomenologia del telefono cellulare (odiosa palla al piede dell'uomo moderno)

(articolo apparso su Prima Pagina del 2 agosto 2014)

Con l'invenzione del telefono cellulare l'uomo moderno ha di fatto rinunciato – di certo inconsciamente – a una fetta considerevole della propria libertà. Essere possessori di un moderno smartphone equivale, infatti, ad avere il mondo a portata di mano (o meglio: di dito). Si dirà: e allora? Che c'è di male? Anzi, vuoi mettere che soddisfazione poter contattare mezzo mondo con un clic!
Ma è proprio questo il punto. Essere raggiungibili da chiunque, in qualsiasi momento e ovunque ci si trovi è una forma – sui generis finché si vuole – di schiavitù. Basta avere un cellulare in tasca, e addio riservatezza, addio riposo, addio tutto. Si ode, come per magia, un drin, e subito ci si tasta un po' dappertutto (si vedono certe scene, alle volte...) in cerca del diabolico strumento di comunicazione. Non so voi, ma io – che pure sono schiavo come tutti, e come tutti ho un apparecchio che, in teoria, oltre a telefonare è in grado di fare centomila cose più o meno inutili – rimpiango i tempi in cui, se volevo andare a prendere un gelato con un compagno di classe, dovevo alzare la vecchia cornetta per metterlo al corrente delle mie intenzioni.
Lo so, lo so: starete pensando che tanto è inutile scrivere certe cose, che il progresso è fatto così, che prima o poi ci si abitua. Tutto vero. E vi dirò di più: sono persino disposto a riconoscere alcuni indiscutibili vantaggi del telefonino. Come negare, infatti, che avere continuamente a disposizione un piccolo computer portatile rappresenti, in certi casi, un modo per facilitarsi la vita? Ciò che però mi preme voi consideriate è l'insieme, assai cospicuo, delle altrettanto innegabili controindicazioni del cellulare. Per ovviare al vostro prevedibile scetticismo, illustrerò alcuni esempi tratti dalla normale vita quotidiana. Ma, prima di procedere, vi chiedo di fare un piccolo sforzo: immaginate di tornare bambini, e – riferendovi al cellulare, dando per scontato che ancora non ne conosciate le funzioni – di rivolgere ad un adulto la più classica delle domande: «Cos'è?». Ebbene, io sarò per voi quell'adulto.
Dunque, per prima cosa il cellulare è uno strumento che ti sottrae tempo, e quasi mai per un valido motivo. Tolte le comunicazioni utili (e con esse, s'intende, quelle indispensabili), è pressoché scientificamente provato che la maggior parte delle informazioni che due persone si scambiano per telefono sono idiozie. Messaggini, fotografie, file audio e video: tutta roba che si invia al solo scopo di fare due risate. Perché, al giorno d'oggi, tutti hanno una gran voglia di scherzare su tutto, col rischio – va da sé – che nulla venga più preso realmente sul serio.
Il vero problema dei moderni cellulari è che ormai fanno di tutto. Eh sì, perché le chiamate vocali – quelle tradizionali – non interessano più. Col risultato che arriviamo ad un primo, grande paradosso: il telefonino è quell'arnese che l'uomo del Duemila acquista senza preoccuparsi più di tanto che, effettivamente, telefoni. Il moderno acquirente di smartphone, allorché intenda comprare un nuovo apparecchio, mostra infatti i segni di un'improvvisa schizofrenia, e rivolge al commesso più o meno sempre le stesse domande: «Com'è la risoluzione delle foto?»; «Va veloce su internet?»; «E la memoria? E le applicazioni? E i giochi? E la musica?». Insomma, sintomi evidenti di una patologia grave. I quali, fortunatamente, si manifestano per lo più solo con il telefonino, dal momento che se acquisto una lavatrice mi interessa – almeno per ora – che lavi, che un'aspirapolvere aspiri, e così via.
Ma andiamo oltre. E soffermiamoci un momento sulle tragiche conseguenze di questo uso – come dire? – allargato del cellulare. Partirei dai messaggi di testo (mi riferisco, indistintamente, agli sms e a whatsapp), ovvero dalla forma più imbecille di comunicazione che l'uomo moderno abbia inventato. Direte: che paroloni! E invece sì, lo ribadisco. Il 99,9% dei messaggini sono imbecilli, o quantomeno sono scritti da una persona che – per i più svariati motivi – ha deciso di mettere in pausa il cervello. Volete un esempio? Nessun problema.
Esempio 1. Mi arriva un sms (o, come si dice oggi in gergo giovanile, una "whatsappata"), ed io – ingenuo – immagino sia per comunicare qualcosa di sensato. C'è però un problema: sono in macchina, e non posso rispondere. Quindi richiamo. Ma, puntualmente, dall'altra parte mi sbattono il telefono in faccia. Passano due nanosecondi, e arriva un nuovo messaggio. Al che, alla prima occasione utile (contravvenendo palesemente al codice della strada), do una sbirciata veloce, e leggo: «Non posso rispondere. Sono al lavoro. Ma tranquillo: non era nulla di importante». E allora mi rivolgo a tutti gli scrittori professionisti di messaggi inutili: se non avete niente di importante da dire, per l'amor del cielo, tacete (cioè: mettete un freno ai vostri pollici bramosi di digitare qualche idiozia su uno schermo)!
Esempio 2. Mi sono appena appisolato, e puntuale il maledetto cellulare suona. È l'ennesimo messaggio: un file video: la ripresa del tuffo dal trampolino dell'amico in ferie (perché c'è sempre un amico in ferie, o che non ha una mazza da fare, pronto a disturbarti per farti presente che mentre tu sei in città a sgobbare, lui è in un paradiso terrestre a gozzovigliare). Risultato dello scambio di informazioni: pisolino compromesso, e la consapevolezza che, da qualche parte nel mondo, c'è una persona che si sta godendo la vita mentre tu sei confinato in una grigia città in mille faccende affaccendato. Che libidine!, direbbe Jerry Calà.
Dunque possiamo giungere a una prima, importante, conclusione: il cellulare, per chi detesta perdere tempo, è il più delle volte un'irritante seccatura. Ma voltiamo pagina. Ora vorrei invitarvi a ragionare su un altro, deleterio effetto collaterale del telefonino. E cioè che questo aggeggio infernale rende le persone fastidiosamente maleducate. A tavola, in treno, in biblioteca, a messa, al cinema: ovunque ci si trovi, se il cellulare suona non ce n'è per nessuno. Ma possibile, dico io, che un essere umano in carne ed ossa con cui magari si sta conversando piacevolmente debba sempre essere messo in secondo piano rispetto a chi chiama o scrive da chilometri di distanza, per lo più – come visto – per esternare stupidate? E non è tutto. Non solo nei luoghi pubblici tocca sorbirsi un continuo concerto di suonerie (alcune allucinanti...), ma si è pure costretti ad ascoltare l'intera conversazione di chiassosi estranei. Sì, perché quando si risponde al cellulare in pubblico, si è come colpiti da sordità fulminante: bisogna urlare per farsi capire!
Poi c'è quello che si atteggia. Spesso è lui che chiama (forse perché, in realtà, non se lo fila nessuno), e l'argomento è uno solo: il lavoro. Si agita, muove le braccia, gesticola, fa una smorfia dietro l'altra: sembra Mussolini durante un discorso dal balcone di Palazzo Venezia. E il bello è che dà sempre ordini, rimprovera, fa del sarcasmo. Fateci caso: negli ambienti affollati, quando il maleducato di turno fa di tutto per farsi sentire da chi gli sta intorno, è sempre un capo o un supervisore. Mai nessuno che dica ad alta voce: «Sì, padrone».
Ecco quindi che un'ulteriore definizione del telefonino potrebbe essere questa: strumento di imbarbarimento di massa. Ma c'è ancora dell'altro. Oggi il cellulare ti consente di accedere – 24 ore su 24 – ad un innovativo insulso sistema di comunicazione: Facebook. Facebook è realmente una malattia grave per le nuove generazioni. Volete una definizione? Eccovi accontentati: Facebook è uno spazio virtuale attraverso il quale le persone che non hanno di meglio da fare condividono baggianate. In pratica, è un'immensa bacheca dove chiunque, con i cosiddetti post (si chiamano così, giusto?), può rendere edotti gli altri utenti del proprio modo di perdere tempo. Esempi? Quanti ne volete, ma permettetemi di esprimere, di volta in volta, un rapido commento. «Mario ha condiviso una foto»: e chi te l'ha chiesto! «Giovanni e altre 6 persone hanno scritto sul diario di Luca»: buon per loro. «Giacomo è stato taggato nella foto di Andrea»: ma chissenefrega (e poi è stato cosa?). E, per finire, la più bella: «A Laura piace Vanity Fair»: ma vai... e qui mi autocensuro, ché è meglio.
A ben vedere, questa frenesia di massa cela un inquietante sottofondo. Ovvero che oggi si ha paura della solitudine e del dialogo con se stessi. Molti sentono il bisogno di condividere sciocchezze e di comunicare idiozie proprio perché avvertono la necessità di anestetizzare la mente regredendo ad un eterno stato infantile. Tentano così di eludere la tragicità dell'esistenza cercando riparo dietro uno scudo di futilità, convinti che la spensieratezza sia la sola medicina in grado di curare l'angoscia con cui ogni uomo su questa terra è costretto, prima o poi, a fare i conti. Sanno che non è così, in realtà; ma ormai sono drogati, dipendenti. Se il telefonino si rompe o si scarica, si sentono persi, smarriti. Il paese dei balocchi in cui si sono rifugiati immediatamente si dissolve, e allora tocca fare i conti con se stessi, con un mondo dove non esistono selfie e non c'è nulla da condividere, se non i sentimenti. Perché al cellulare siamo tutti marionette, schiavi del personaggio che vogliamo ad ogni costo interpretare nella realtà virtuale. Un personaggio che, con tutta evidenza, non esiste, che è finto, superficiale, forzatamente di buon umore (avete notato che su Facebook ridono sempre tutti? Ma per quale motivo bisogna dire al mondo che si è felici anche se non è vero? Perché mai devo mettere in piazza – storpiandole – le mie emozioni, le mie opinioni, la mia intimità?). Ecco dunque che vi lascio con l'ultima definizione: il telefonino è un potentissimo diffusore di falsità e un micidiale propagatore di ipocrisie.

Appuntamento ogni sabato su Prima Pagina con la rubrica All'apparir del vero

Nessun commento:

Posta un commento