giovedì 9 aprile 2015

«La metamorfosi»: l’assurdità di un mondo che schiaccia l’individualità di chi non si identifica con la maggioranza

(articolo apparso su Prima Pagina del 5 aprile 2015)

Scritto nel 1912 e pubblicato quattro anni dopo, La metamorfosi è il racconto più celebre di Franz Kafka, un capolavoro incentrato sul dramma esistenziale di chi si vede a tal punto estraneo rispetto al mondo da percepirsi come una creatura mostruosa, raccapricciante e repellente.
La trama è piuttosto semplice. «Gregorio Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo». A partire da questo singolare incipit, la voce narrante descrive sentimenti e disavventure del protagonista, costretto a subire gli effetti di una metamorfosi che non trova alcuna logica spiegazione.
Gregorio è un commesso viaggiatore che, con il proprio lavoro, dà sostegno all’intera famiglia, formata dai genitori e dalla sorella Rita. All’inizio del racconto egli si trova dunque trasformato in un insetto, comprensibilmente frastornato ed incapace di cogliere le reali conseguenze della sua mutazione. Dapprima prova a persuadersi che si tratti di un disagio temporaneo, e forte di questa convinzione si sforza di prepararsi il più in fretta possibile, giacché è tardi e deve assolutamente prendere il treno per recarsi al lavoro. Per i familiari, tuttavia, il suo indugiare in camera da letto è inspiegabile: Gregorio non è infatti il tipo che arriva in ritardo, la sua condotta è sempre stata irreprensibile. Il suo nuovo corpo – in tutto simile a quello di un grosso scarafaggio – è però un impedimento troppo grande, tanto che persino il più semplice movimento risulta essere insidioso.
Allarmati da quello che reputano un comportamento del tutto anomalo, i genitori e la sorella provano a farsi sentire da dietro la porta della camera di Gregorio, che è chiusa a chiave dall’interno. Questi li rassicura, ma dalla sua voce risulta evidente che qualche cosa non va. D’un tratto si sente suonare il campanello: è il procuratore, il superiore di Gregorio, giunto appositamente per avere spiegazioni a proposito dell’ingiustificata assenza dal posto di lavoro del suo sottoposto. La versione più scontata – accreditata più che altro dalla madre – è che quest’ultimo si sia ammalato, ma è lo stesso Gregorio a smentire con forza di sentirsi poco bene. Nelle sue nuove sembianze di insetto, egli tenta in tutti i modi di aprire la porta, ma è impacciato. Prova anche a tranquillizzare i presenti, tuttavia la sua voce non è più quella di un uomo e risulta incomprensibile. Quando finalmente, con grande sforzo, riesce ad aprire la porta, lo sconcerto è generale. La madre si sente mancare, mentre il procuratore, atterrito, se la dà a gambe e fugge dall’abitazione dei Samsa.
Anche la reazione del padre è scomposta. Scrive Kafka: «Purtroppo questa fuga del procuratore sembrò sconvolgere completamente anche il padre, che sino allora si era relativamente contenuto; invece di correre anche lui dietro al procuratore […], afferrò con la destra il bastone, che il procuratore aveva abbandonato col cappello e il pastrano sopra una seggiola; prese con la sinistra un gran giornale dal tavolo e si accinse a respingere Gregorio nella sua camera pestando i piedi e agitando il bastone e il giornale».
Stremato, consapevole di aver perso il lavoro e il sostegno della famiglia, Gregorio si addormenta. Al suo risveglio trova accanto alla porta una scodella con del latte e del pane. È il segno che non tutti si sono dimenticati di lui, anche se presto realizza che il cibo tradizionale degli umani gli procura ora un forte senso di disgusto. Il mattino seguente – Gregorio nel frattempo si è posizionato sotto il canapè, dove si sente più a suo agio per il fatto che, lì nascosto, nessuno può vedere il suo corpo ripugnante nella sua interezza – la sorella entra nella stanza e sostituisce pane e latte con avanzi di cibo avariato. Questa volta Gregorio apprezza e mangia quasi tutto con gusto.
A partire da questo momento la situazione sembra, paradossalmente, stabilizzarsi. Rita si prende cura del fratello (il quale, per non spaventarla, resta sempre nascosto sotto il canapè), portandogli da mangiare e tenendogli pulita la stanza. E Gregorio pare persino abituarsi alla sua nuova condizione: sperimenta le nuove possibilità di movimento offerte dal suo corpo di insetto, si arrampica sulle pareti e trascorre le giornate ascoltando i discorsi dei familiari attraverso i muri della stanza.
Presto però egli sprofonda nuovamente in un clima di penosa angoscia. Apprende infatti che, dovendo ora fare a meno del suo stipendio di commesso viaggiatore, la famiglia si trova costretta ad affrontare inedite difficoltà economiche, e si sente in colpa. Quando poi Rita, che ha scoperto l’abitudine del fratello di camminare sulle pareti, decide di rimuovere i mobili dalla sua stanza per aumentare lo spazio a disposizione, Gregorio comprende con desolazione che il processo di disumanizzazione della sua persona si sta progressivamente compiendo. Nel tentativo di ribellarsi ad un destino che pare inesorabile, decide quindi di impedire che dalla sua camera venga asportato un quadro, divenuto il prezioso simbolo di ciò che rimane della sua vita precedente. Quando però esce allo scoperto, viene visto da Rita e soprattutto dalla madre, che è colta da una crisi di panico. Gregorio esce a quel punto dalla sua stanza, ma viene respinto dal padre che, inferocito, gli scaglia addosso con violenza una mela, ferendolo gravemente alla schiena.
Col tempo le condizioni della famiglia Samsa peggiorano, tanto che in casa vengono ospitati tre pensionanti per aumentare le entrate. Gregorio è sempre più solo: persino Rita, che ha dovuto procurasi un impiego, gli dedica ormai poca attenzione, trascurando la pulizia della sua stanza. Una sera – la porta della camera da letto è rimasta aperta per errore – Gregorio è attratto verso il soggiorno dal suono del violino della sorella (che sta intrattenendo i genitori e i pensionanti), ma viene visto dai tre inquilini, che subito annunciano, inorriditi, di voler abbandonare l’appartamento. Di fatto, questo è il preludio alla fine di Gregorio. Abbandonato finanche dai suoi cari («Bisogna cercare di liberarsene», è la conclusione cui giunge Rita), l’uomo-scarafaggio si ritira nella sua stanza, rassegnato a morire di stenti (da tempo, del resto, a causa della depressione rifiuta sistematicamente il cibo). Spira quella stessa notte, alle prime luci dell’alba. Finalmente tutti i membri della famiglia possono tirare un sospiro di sollievo: si sbarazzano frettolosamente del cadavere e iniziano subito a programmare l’avvenire. In conclusione, i coniugi Samsa realizzano di colpo che la figlia si è fatta ormai «una bella e florida ragazza», in età da marito. Tutte le preoccupazioni sembrano ormai appartenere al passato.
Il racconto di Kafka – che si avvale, per aumentare l’effetto straniante, di un narratore eterodiegetico (cioè esterno alla storia) per nulla turbato dalla vicenda surreale della metamorfosi – si fonda sulla premessa che tra fatti realistici e fatti assurdi non esiste alcuna differenza. Il risveglio di Gregorio, trasformatosi in un enorme scarafaggio, è cioè descritto come del tutto naturale, tanto che nemmeno il protagonista sembra preoccuparsi delle ragioni che stanno all’origine della sua mutazione. Egli ha appena assunto le sembianze di un insetto, ma l’unica cosa di cui si cura è il ritardo con cui dovrà presentarsi al lavoro. In sostanza, nella vicenda di Gregorio reale e irreale si identificano a tal punto che la stessa esistenza, nel suo complesso, finisce per diventare una colossale assurdità.
La mostruosità di Gregorio genera ribrezzo più che stupore. Al riguardo, è emblematica la reazione del capoufficio, che non mostra alcuna compassione per il suo sottoposto. Ciò che infatti gli interessa davvero è constatare che Gregorio non è più abile al lavoro: il resto è del tutto secondario. Con tutta evidenza, Kafka intende quindi denunciare la rigidità della società borghese contemporanea, all’interno della quale ogni individuo è più che altro un ingranaggio che va prontamente sostituito non appena si inceppa. L’individualità è continuamente schiacciata da un’organizzazione che punisce inesorabilmente ogni piccola mancanza e che prevede che la vita del singolo – insignificante rispetto all’onnipotente organismo collettivo – sia continuamente regolata da rigidi mansionari.
Cosa significa, del resto, trasformarsi in uno scarafaggio? Per Kafka l’insetto è il simbolo di una condizione di drastica emarginazione, trattandosi di un animale che di solito suscita un forte senso di disgusto. La stessa camera da letto diventa un luogo di regressione, una prigione che serve a tenere ben distinto lo spazio della comunità proba rispetto a quello dei singoli reprobi, il mondo del bene rispetto a quello del male. Gregorio è pertanto l’emblema della discriminazione, e incarna l’indiretto senso di colpa che sovente spinge chi è escluso a sentirsi in qualche modo responsabile della propria condizione. In una società che pretende di omologare tutti i suoi membri secondo una ben definita scala di valori (al cui vertice stanno il potere, il mito del successo e la lode incondizionata del profitto), chi – per scelta, colpa o destino – si trova a recitare la parte della pecora nera deve essere messo nelle condizioni di non nuocere alla maggioranza, deve essere schiacciato come un insetto immondo. Per questo, del resto, Gregorio si lascia morire: sa che, dal momento in cui ha preso le distanze dalla sua vita precedente (fatta di cieca obbedienza tanto in famiglia – specialmente nei confronti del padre autoritario – quanto sul posto di lavoro), sarà sempre e solo uno schifoso scarafaggio alla vista del quale l’infinito gregge delle pecore bianche si ritrarrà nauseato.

Appuntamento ogni domenica su Prima Pagina con la rubrica Cose d'altri tempi

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